Punto 11: il santuario della Madonna delle Grazie

Il 17 Aprile 1037, l’imperatore di Germania Corrado, concede a padre Lamberto abate del monastero di Sant’ Apollinare in Classe, privilegi e conferme su quattro monasteri di sua pertinenza, tra i quali compare anche questo entro il Castello di San Vito, chiamato appunto, in origine, tempio di Sant’Apollinare.

Dei quattro monasteri, che furono attivi nei secoli passati, rimangono le chiese ad essi adiacenti. Successivamente, nel 1407 Pandolfo III Malatesta, signore di Rimini e Fano, e di parte della vallata Cesanense, comprendente anche San Vito sul Cesano, affida ai Padri Agostiani di Pergola il monastero. A quell’epoca risale la devozione per S. Monica – madre di San Agostino e cara agli Agostiniani – alla quale fu dedicato il primo altare a sinistra dell’ingresso, e la nascita di una Confraternita omonima.

Nel secolo successivo, nell’anno 1580, il cenobio passò ai Padri Minori Conventuali, e il tempio, nonostante venne dedicato a San Francesco d’Assisi, prese l’appellativo di “Santuario della Madonna delle Grazie”. Quando nel 1620, per decisione del Capitolo Generale dei Minori Conventuali, il cenobio perdette la sua autonomia, fu unito al convento di Pergola, allora assai florido e prestigioso, ma nel 1653, in seguito alla Bolla Pontificia di Bonifacio X, che prevedeva la chiusura dei conventi di ogni Ordine monastico in cui vi fossero pochi confratelli, la famiglia monastica venne sciolta.

La chiesa rimase comunque officiata, e continuarono le funzioni sacre e l’afflusso dei fedeli locali e dei pellegrini, anche da paesi lontani. Dalla sua fondazione, e nei secoli seguenti, il tempio poté godere di cospicue donazioni e legati sacri, in occasioni di festività e di celebrazioni di messe e uffici funebri, soprattutto dalla famiglie nobili dell’epoca, come i ricchi Bonajuti, i Merlini, i Servici ed altre.

La chiesa si presenta come un fabbricato di laterizi, ed è tutto ciò che rimane del ben più grande ed articolato monastero di un tempo; è stata definitivamente sconsacrata, all’incirca, negli anni ’50 del novecento.

Esternamente, l’edificio è privo di elementi ornamentali, fatta eccezione, sulla parete che delinea la piazzetta, di un’epigrafe in marmo ornata di una corona di alloro, fatta apporre nel 1920, per eternare i nomi dei Sanvitesi caduti nella Prima Guerra Mondiale. Nella facciata principale probabilmente era presente un rosone, mentre il portale in pietra lavorata è stato asportato in un periodo imprecisato della storia.

La chiesa è stata interessata da molteplici rifacimenti ed è pertanto difficile ricostruirne le fattezze, dalle origini ai giorni nostri. L’interno ha una sola navata, con abside rettangolare separato dalla navata da due colonne laterali, e volta circolare. La retrostante sagrestia permette l’accesso al campanile rettangolare. Dopo i lavori di ristrutturazione dell’edificio nel 2006 proprio questi spazi sono stati destinati al locale Circolo Acli.

All’interno della chiesa sono conservati cinque artistici altari in pietra lavorata, uno centrale e due sulle pareti laterali. Sono presenti inoltre epigrafi ed iscrizioni, riferite alle nobili famiglie che si legarono per devozione alla Chiesa di San Francesco. Le tele dipinte di buona fattura, come l’Apparizione di Cristo a San Francesco, che anticamente erano collocate all’interno degli altari, ora sono custodite nella sagrestia della Chiesa Parrocchiale, dove trovano spazio anche le statue, una delle quali la Madonna del Rosario, molto cara ai sanvitesi e da sempre venerata con affetto.

Il primo altare a sinistra dell’ingresso, di cui rimane l’elaborata riquadratura in pietra scolpita, con ornamenti e cornici, è dedicato a Santa Monica, come recita la dedicazione posta sulla sommità. Proseguendo, il secondo altare, in pietra scolpita, con basamento e colonne, cariatidi e volte ornamentali, racchiudeva una tela dipinta raffigurante la Madonna con Bambino, San Lorenzo martire e San Carlo Borromeo del 1631.

Una breve iscrizione latina, incisa su marmo, ci ricorda che Giambattista Bonajuti e Ludovica sua moglie fecero realizzare tale altare nel 1335. Dall’altare purtroppo venne strafugato lo stemma dei committenti. Il primo altare a destra dell’ingresso, è dedicato a San Francesco da Paola (1416-1507). Fu eretto nel 1614 e all’interno della nicchia è conservata una statua in stucco e cartapesta del santo, lasciata sul posto poiché considerata di poco valore. Il Santo è raffigurato in piedi, con la barba folta, il saio e la cintola, un bastone sul quale, alla sommità, è riconoscibile il suo simbolo: il sole e suoi raggi. A San Vito sul Cesano, esisteva una confraternita a lui dedicata, e notevole è sempre stata la devozione verso il santo taumaturgo, da parte della popolazione sanvitese.

Anche il secondo altare addossato alla parte destra è il pietra scolpita, volte spezzate, cariatidi esterne e cornice vuota.

L’Altare Maggiore, invece, anch’esso in pietra scolpita e cornice barocca vuota, è provvisto di mensa, in pietra e laterizi, con urna vuota dove un tempo erano custodite le reliquie o il corpo di qualche santo. Alla sommità è presente la dedica a Dio, Ottimo, Massimo e l’indicazione “Altare Privilegiato”.

Cipolle di Suasa (PU)

Punto 12: prodotti tipici e contatti

Siamo arrivati alla fine di questo tour di San Vito, speriamo che vi sia piaciuto e che abbiate apprezzato tutte le diverse sfaccettature della sua storia. Prima di lasciarci vorremmo ricordarvi che le nostre colline sono ricche di prodotti tipici, fortemente legati al territorio in cui nascono, e che si distinguono per la loro qualità, frutto della passione di chi li produce.

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